Mi chiamo Camilla e sono una blogger non vedente.
Adulti o bambini ogni volta che si sente nominare la parola carbone, non si può non pensare a quella simpatica vecchietta con un gran nasone e le scarpe rotte della Befana. Tutti noi da piccoli abbiamo passato la notte del 5 gennaio senza dormire, presi dall’ansia di trovare il carbone non zuccherato nella calza. Modestamente, a me non è mai successo. Ricordo quella specie di nero sbiadito di quel dolce blocchettino, che brillava di zucchero. Il sapore irresistibile e la gioia di sapere di essere stati bravi. Utilizzavamo il carbone anche per accendere il fuoco, cuocere le castagne e fare riunioni familiari davanti al caminetto. Le favole intorno al fuoco erano le mie preferite.
Il carbone è tra i materiali più antichi. La sua formazione risale circa a 320 milioni di anni fa. Da allora, è l’ideale per conservare gli oggetti. E poi penso ai minatori, che grazie al carbone sopravvivono e mantengono le famiglie: ho letto da qualche parte di tutte le canzoni hanno inventato, tramandate di generazione in generazione, ispirate alla loro vita vissuta in gran parte senza luce del sole. Sono figlia di un architetto, le matite a carboncino sono il mio pane quotidiano. Quanti disegni ho fatto nella mia stanza, con il carboncino rubato di nascosto a mio papà. Paesaggi naturali, alberi e montagne realizzati con la tecnica del chiaroscuro realizzata grazie a queste matite. Ritratti, barche o nature morte. Ricordo perfettamente l’odore di queste matite, a volte più dolce, quasi simile a quello della Befana, altre più acre, come quello che alimentava la stufa.